Colleferro: capofila della strategia discarica/inceneritori
È la sera del 9 maggio: Virginia Raggi, sindaca di Roma, è ospite a “Porta a Porta”. Bruno Vespa la incalza sulla questione dei rifiuti, le chiede di illustrare le soluzioni che il Comune di Roma intende mettere in campo per uscire dalla crisi che ha lasciato immondizia abbandonata per le strade delle Capitale. E Virginia Raggi risponde: “A brevissimo [termine] qual è la soluzione? La soluzione è che la Regione Lazio sblocchi tutte le autorizzazioni che ha già in piedi. […] C’è già una discarica, a Colleferro, che è di proprietà sostanzialmente della Regione. La Regione potrebbe continuare lì.”
Poco più di un mese dopo, l’annuncio: l’inceneritore di Colleferro sarà rimesso a nuovo e salverà Roma dall’emergenza, bruciando fino a 220.000 tonnellate di rifiuti provenienti dalla Capitale, grazie ad un investimento di 2,5 milioni di euro da parte del Comune di Roma. Colleferro ha 25mila abitanti ed è a 50 chilometri dalla Capitale: un luogo sconosciuto per gli spettatori di tutta Italia. Ma anche per tantissimi romani, che non hanno idea di come si soffra da queste parti. Che non sanno dei rifiuti che arrivano a Frosinone presso la SAF, altro che Germania. A Roma si chiacchiera per strada e nei bar, e l’idea che passa è quella di una soluzione locale e molto più a buon mercato rispetto all’invio di treni di “monnezza” fuori regione. La “soluzione Ciociaria” non è certo una novità: sono ormai 25 anni che la zona è inserita a pieno titolo nel business dei rifiuti. Colleferro vanta ben due impianti di incenerimento e un’enorme discarica – Colle Fagiolara – seconda solo a Malagrotta in termini di volume. I cittadini della Valle del Sacco, però, sono stanchi. È una storia che va raccontata, per comprendere a pieno l’irrazionalità e il cinismo di chi oggi propone di risolvere in provincia i problemi di Roma.
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Colleferro è una città nata appena un centinaio di anni fa, che ha cambiato pelle più e più volte. L’ultima trasformazione, quella che mette oggi Colleferro al centro della contesa tra Regione e Comune di Roma, risale agli inizi degli anni ‘90.
Gli anni ’90: nasce la discarica di Colle Fagiolara Ricostruire con precisione gli avvenimenti (e le responsabilità) legati alle prime fasi della discarica di Colle Fagiolara non è semplice: i documenti sono difficili da reperire e ci sarebbe la necessità di impegnarsi in lunghe ricerche d’archivio. Colle Fagiolara è un’area sita ai margini del Comune di Colleferro che, agli inizi degli anni ’90, risultava ospitare una certa quantità di rifiuti solidi urbani conferiti in modo abusivo. Il sito andava bonificato: i rifiuti presenti vengono allora estratti e, anziché conferirli presso una delle discariche attive all’epoca, si sceglie di rendere il sito stesso idoneo al conferimento, preparando il fondo dell’invaso ad ospitare quella modesta quantità di rifiuti. L’intenzione finale era di tumulare il tutto, come se si trattasse di una discarica legittima che ha esaurito la propria volumetria, e di lasciarsi alle spalle l’incidente senza dover affrontare spese proibitive. Queste operazioni, stando a quanto si è riusciti a ricostruire, prendono il via durante i sei mesi di amministrazione prefettizia del 1993, seguiti allo scioglimento anticipato dell’amministrazione Colabucci (Democrazia Cristiana). Il grosso degli sviluppi, tuttavia, si svolge durante la prima amministrazione Moffa. Vale la pena di dedicare alla sua figura un paio di pennellate veloci, vista la centralità che ricopre in questo triste capitolo di storia colleferrina: Silvano Moffa è un giovane esponente della destra sociale, impegnato prima nel Movimento Sociale Italiano e poi in Alleanza Nazionale, con una storia personale a metà tra il giornalismo e il partito. Si candida a Sindaco di Colleferro sostenuto da una sola lista civica, “Aria Nuova”, e conquista al primo turno il 22,5% dei voti. La sua avversaria è Rossella Menichelli, sostenuta dal Partito Democratico della Sinistra e da una lista civica, che si aggiudica il 35,97% dei voti al primo turno. Ma siamo in piena tempesta Tangentopoli e la figura di Silvano Moffa, appena quarantenne, sembra indicare la strada per una svolta in una direzione inesplorata: strappa la vittoria al ballottaggio con il 51,09% dei voti e inizia per Colleferro il ventennio di governo delle destre. È proprio Moffa che sceglie di dare un nuovo indirizzo alla discarica di Colle Fagiolara. I lavori di messa in sicurezza terminano nel 1995, ma l’invaso non viene ricoperto: il Comune di Colleferro inizia ad utilizzarla come sito di smaltimento dei propri rifiuti solidi urbani. Il fine è chiaro: risparmiare sui costi di conferimento, gestendo in modo autonomo i rifiuti prodotti sul territorio comunale. Una strategia di per sé comprensibile, a tratti condivisibile. La rotta è definita con chiarezza: Colleferro deve entrare a pieno titolo nel business dei rifiuti, sfruttando a suo vantaggio il caos creato dalle inadempienze della Regione Lazio. E certe volte – è proprio il caso di dirlo – l’attualità è vintage!
I regali del nuovo millennio: i due inceneritori Nella primavera del 1997 Silvano Moffa termina il suo primo mandato e si ricandida a sindaco di Colleferro: viene riconfermato, con il 66,5% dei consensi. Un trionfo netto, indiscutibile. È proprio nel 1998 che Moffa, figura politica in piena ascesa, concepisce il nuovo grande progetto: costruire un impianto per l’incenerimento dei rifiuti nel territorio del Comune di Colleferro. Non un’imposizione dall’alto, ma una scelta più e più volte rivendicata dall’allora amministrazione comunale: Moffa vuole il business degli inceneritori e si spende in prima persona, sia come Sindaco sia come Presidente della Provincia, per assicurarsi che il progetto vada in porto. Gli inceneritori vengono presentati alla cittadinanza come il futuro, la nuova frontiera nella gestione dei rifiuti, come un evento positivo in termini sia occupazionali che economici. Si afferma, addirittura, che i nuovi impianti avrebbero rapidamente soppiantato la vecchia discarica di Colle Fagiolara, che sarebbe andata incontro alla chiusura nel giro di pochi anni: un’illusione, se non una sfacciata menzogna. Il progetto di costruzione dell’impianto viene approvato in prima battuta dalla Provincia di Roma e dalla Regione Lazio, allora presieduta da Piero Badaloni (Ulivo), e viene successivamente indetta una conferenza dei servizi da parte del Ministero dell’industria: il Comune di Colleferro è chiamato ad esprimersi e l’amministrazione Moffa chiede all’Azienda Sanitaria Locale di competenza (ASL RM/G) di produrre un parere a proposito. La ASL RM/G risponde chiaramente nel febbraio del 1999: «si ritiene inopportuno l’installazione di ulteriori fonti di inquinamento che possano aggravare la già critica situazione dell’area di Colleferro Scalo». Il sito individuato per la realizzazione degli impianti, infatti, «è ubicato vicino ad un agglomerato urbano che per la relativa distanza dal centro di Colleferro, l’immediata vicinanza alla stazione ferroviaria e la contiguità con gli impianti della Società Industria Chimica Caffaro, Bdp Difesa e Spazio ed Italcementi risulta essere già penalizzato da un punto di vista ambientale e sociale» e che «l’area individuata per la realizzazione di un impianto […] è confinante con estese aree utilizzate per decenni come discarica incontrollata di rifiuti industriali». Eppure, l’11 maggio 1999, il Comune di Colleferro si esprime a favore della costruzione dei due impianti ignorando il parere espresso dall’autorità sanitaria. Un parere che rimane “nel cassetto” dell’Amministrazione Moffa e che diventa di pubblico dominio solo successivamente, mentre il quartiere interessato dalla costruzione degli impianti inizia una stagione di forte mobilitazione. Nella cittadinanza la coscienza ambientalista langue, i rischi dell’incenerimento sono ancora ignoti all’opinione pubblica: le proteste si rivelano inefficaci e i due inceneritori entrano in funzione a cavallo tra il dicembre 2002 e il giugno 2003.
Un brutto risveglio: l’eredità industriale, prima o poi, torna a galla Primavera del 2005: un controllo a campione rivela che il latte prodotto in una fattoria di Gavignano, un piccolo comune a ridosso di Colleferro, è contaminato da sostanze tossiche. Beta-esaclorocicloesano per la precisione: un residuo della produzione del lindano, un insetticida abbastanza popolare in agricoltura fino alla fine degli anni ‘70, che veniva prodotto dalle industrie chimiche di Colleferro. Alcuni fusti contenenti scarti industriali erano stati interrati e, anni e anni dopo, avevano finito per contaminare il suolo circostante, per poi raggiungere il fiume e diffondersi in tutta la Valle del Sacco. È la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso: era sentimento comune che Colleferro fosse una cittadina inquinata, che i molti anni di piena occupazione garantiti dal forte sviluppo industriale avessero lasciato una pesante eredità ambientale ma ritrovarsi tracce di quelle produzioni nel sangue, certificate dalle analisi delle autorità sanitarie, si rivela uno shock. Un brusco risveglio, per così dire. È proprio in questo frangente che in città inizia a intravedersi la formazione di una coscienza ambientalista, di una reazione: le scuole superiori di Colleferro iniziano a mobilitarsi nell’autunno del 2005, e si chiede a gran voce un’indagine su ampia scala per verificare l’entità del danno sanitario, tempi certi per la bonifica e la possibilità di seguire passo passo lo stato dei lavori di risanamento. Il 23 novembre 2005 nasce il movimento studentesco che, nel 2007, darà vita all’Unione Giovani Indipendenti, un’associazione giovanile che incontreremo ancora più e più volte in questo memorandum dei veleni. Le iniziative di sensibilizzazione della popolazione si susseguono, così come altre manifestazioni, incontri e petizioni. Qualche anno più tardi, nel 2008, nasce anche ReTuVaSa, la Rete per la Tutela della Valle del Sacco, un’altra associazione che si renderà protagonista del movimento ambientalista sul territorio della Valle del Sacco. Il germe ambientalista nasce a Colleferro in risposta alla contaminazione industriale, ma ai militanti non sfugge l’analogia tra l’industria chimica degli anni ‘80 e il business dei rifiuti in moto dai primi anni ‘90. Non ci sono ancora i dati, vengono bollati come “allarmisti”, ma la preoccupazione in città cresce, lenta ma inesorabile.
Traffico illecito di rifiuti: il sequestro degli inceneritori nel 2009 Nella notte dell’8 marzo 2009 gli inceneritori di Colleferro vengono sequestrati dal Nucleo Operativo Ecologico (Noe) dei Carabinieri di Roma. Tredici persone finiscono in manette. Tra i principali capi d’accusa troviamo associazione per delinquere, manomissione dei dati sulle emissioni in atmosfera, falsificazione dei certificati, traffico illecito di rifiuti tossici. Autista: “È arrivato quello di via Salaria – (impianto Ama di preparazione del combustibile ndr.) – l’hai saputo? E ci stanno pure gomme delle macchine intere eh…” Operaio: «Ma questa è roba tossica…». Dipendente: «Dottorè… non è roba buona… L’ha vista la chiamata?» Il processo è ancora in corso, a più di dieci anni di distanza, e meriterebbe un racconto a sé stante. Vale la pena menzionare che ad oggi alcuni dei dirigenti coinvolti in queste intercettazioni lavorano ancora negli impianti di incenerimento e nel settore dei rifiuti, come se nulla fosse successo. Tornando al 2009, gli impianti riprendono a lavorare nel giro di un paio di mesi per garantire la continuità del servizio, ma la fiducia della cittadinanza in una corretta gestione degli inceneritori è definitivamente compromessa. Il centrodestra e una porzione del centrosinistra continuano a difendere la scelta dell’incenerimento e la bontà degli impianti, scaricando le colpe su un “mero” problema di dirigenza. Mentre i cittadini si organizzano, tuttavia, lo scenario continua ad evolversi, anche in senso negativo: nel 2008 il piano rifiuti regionale della giunta Marrazzo aumenta ad un milione e mezzo di metri cubi il volume di rifiuti che può accogliere la discarica di Colle Fagiolara.
Arrivano i primi dati sanitari e il fronte della protesta si allarga Nel dicembre del 2011 viene pubblicato lo studio S.E.N.T.I.E.R.I. (Sorveglianza epidemiologica di popolazioni residenti in siti contaminati) del Ministero della Salute. Il dito è puntato sull’eredità industriale, ma viene messo per la prima volta nero su bianco che a Colleferro e negli altri comuni della Valle del Sacco persiste una situazione di emergenza sanitaria. Meno di un mese dopo, il 6 gennaio 2012, il Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale della Provincia di Roma annuncia di aver ricevuto una proposta di Acea e AMA per la realizzazione di un impianto di Trattamento Meccanico Biologico (TMB) a Castellaccio, un’area all’interno del comune di Paliano, immediatamente confinante con Colleferro. Le dimensioni dell’impianto sono impressionanti e il rischio di trasformare definitivamente Colleferro e dintorni nella discarica della Capitale per il prossimo trentennio è sotto gli occhi di tutti. Tutte le realtà ambientaliste e civiche della Valle del Sacco si riuniscono in un coordinamento e convocano per il 6 ottobre 2012 una grande manifestazione a Colleferro, dal titolo “E tu, sei uno zero?” (6/10, la data del corteo). La risposta della popolazione è travolgente: più di quattromila persone hanno partecipato al corteo al grido di “questa Valle non si vende, questa Valle si difende”, “chi non ha il coraggio di ribellarsi non ha il diritto di lamentarsi” e “vogliamo lavorare senza farci avvelenare”. Nascono altri gruppi, tra cui Cambiare, che decide di impostare l’azione dal lato politico, affermando di essere una associazione ambientalista che candida esplicitamente la propria lista alle elezioni nei comuni della Valle del Sacco. Il fine è quello di sostituire quanto prima gli amministratori coinvolti nel progetto di inondare le aree industriali – già fortemente antropizzato – e il Sin con ulteriori rifiuti. Una prima grande vittoria, anche se il brivido del trionfo dura poco: viene pubblicato in quei giorni lo studio epidemiologico ERAS, realizzato Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA) della Regione Lazio. Dalle analisi si riscontra un peggioramento dello stato di salute della popolazione dopo l’attivazione degli impianti di incenerimento, con picchi drammatici: +79% di ricoveri per malattie polmonari cronico ostruttive, +31% per malattie dell’apparato respiratorio e +78% di infezioni acute dell’apparato respiratorio nei bambini. Per la prima volta il legame tra business dei rifiuti e peggioramento della salute dei cittadini è scritto nero su bianco, certificato da un’autorità alle dipendenze della stessa Regione Lazio. C’è voluto del tempo per dimostrarlo, alle autorità e alla cittadinanza, ma quei giovanotti allarmisti – spesso denigrati – avevano ragione da vendere.
Gli attacchi continuano, la Valle stringe i denti L’opinione pubblica è ormai sensibile alle tematiche ambientali, ma non si può abbassare la guardia. Le associazioni prendono in mano le carte del progetto, ne studiano le criticità e si oppongono in fase di autorizzazione presentando delle osservazioni tecniche: il 27 giugno 2013 la Regione accoglie le istanze dei comitati e stabilisce che il progetto deve sottoporsi alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (V.I.A.). La questione, con una serie di sviluppi successivi, si concluderà con il ritiro del progetto da parte di Italcementi. La linea degli ambientalisti è chiara: opposizione all’incenerimento, in tutte le sue forme e diramazioni. Nel frattempo si susseguono gli incidenti: il 23 giugno 2013 si verifica un incendio presso l’impianto di produzione di CDR (combustibile derivato da rifiuti) di Paliano (Castellaccio – San Bartolomeo), mentre il 23 luglio 2013 prende fuoco un nastro trasportatore presso uno dei due inceneritori di Colleferro. La discarica di Colle Fagiolara, nel mentre, è al centro di un contenzioso in merito al conferimento del rifiuto non trattato (cosiddetto “tal quale”), con una palese violazione delle norme europee in materia. La stessa discarica sarà interessata da un incendio di discrete proporzioni poco tempo dopo, l’11 giugno 2014. Il 5 maggio 2014 l’ennesima beffa: a quasi due anni di distanza dalla grande manifestazione del 6 ottobre 2012 la Regione Lazio autorizza l’impianto di Trattamento Meccanico Biologico a Paliano, con un iter amministrativo durato quasi quattro anni. Sempre nel settembre del 2014 arriva un altro pugno sui denti per i movimenti ambientalisti italiani: il decreto Sblocca Italia, il biglietto da visita del Governo Renzi, che trasforma gli inceneritori in “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale” e riduce tutti i meccanismi di salvaguardia e gli spazi di opposizione a disposizione dei cittadini e dei comitati, arrivando a dimezzare i tempi per tutti i procedimenti amministrativi che li riguardano, come l’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), necessaria per l’esercizio e la messa in produzione degli impianti di incenerimento. Il fronte ambientalista entra nuovamente in mobilitazione, convocando una manifestazione per il 29 novembre 2014. Non c’è tregua. Il nuovo impianto di TMB, complici anche le difficoltà finanziarie di Lazio Ambiente (società subentrata al consorzio Gaia per la gestione dei rifiuti), resta su carta.
Elezioni 2015: il Comune di Colleferro cambia timoniere Il Comune di Colleferro è stato, dal 1993 ai primi anni 2000, il principale promotore del business dei rifiuti. Prima con la discarica, poi con i due inceneritori. Nell’inverno del 2015, a causa di dissidi politici e personali inconciliabili, cade l’amministrazione di centrodestra di Mario Cacciotti, già alla seconda consiliatura. La sfida che si profila alle elezioni amministrative ha il sapore della resa dei conti: da un lato Silvano Moffa, ritornato a Colleferro dopo svariati anni passati in Parlamento, dall’altro Pierluigi Sanna, giovane indipendente di 27 anni. Si affrontano due visioni e due esperienze politiche radicalmente antitetiche. Moffa è il principale responsabile politico della riconversione di Colleferro in città dei rifiuti e rivendica con forza tutte le scelte messe in campo in quella direzione, imputando le difficoltà solo ad un problema di gestione dell’esistente. Sanna, invece, è uno dei giovani che nel 2005 ha dato vita, forza e gambe al movimento ambientalista; propone una radicale inversione di tendenza nella gestione dei rifiuti in città, avviando una raccolta differenziata porta a porta spinta, con l’obiettivo di chiudere entro la fine della consiliatura la discarica di Colle Fagiolara e lavorare in tutte le sedi per la chiusura dei due inceneritori (scelta che esula, purtroppo, dalle competenze del primo cittadino, specie dopo il decreto Sblocca Italia). I cittadini sono davanti a una scelta, inequivocabile.
Chi ti è nemico non dorme mai Il Comune di Colleferro, oltre ad una crisi ambientale e sanitaria, si trova a dover fronteggiare una situazione debitoria con il rischio di insolvenza dell’ente. Sulla chiusura della discarica di Colle Fagiolara, tuttavia, pesa un dubbio atroce: chi garantirà i fondi necessari alla gestione post mortem? Le prospettive sono ancora più cupe per i due inceneritori: da alcuni anni, infatti, gli impianti sono talmente vecchi e malridotti da passare la maggior parte del tempo fermi e in manutenzione. Si avvicina il momento della scelta: chiuderli, riconvertirli o effettuare il cosiddetto “revamping”, ossia investire per rimettere gli impianti in condizione di bruciare rifiuti. Il Comune di Colleferro e le associazioni ambientaliste chiedono la chiusura o la riconversione in un impianto funzionale alla strategia rifiuti zero. Il tema ha assunto straordinaria concretezza il 19 giugno 2017, quando l’assemblea dei soci di EP ha deliberato lo stanziamento di 2,5 milioni per il potenziamento dell’impianto di incenerimento, in sintonia con gli intenti della Regione Lazio. Il revamping, oltre a gettare le basi per altri 20 anni di incenerimento, suona come una presa in giro nei confronti dei cittadini di Colleferro che da un paio di mesi hanno iniziato una raccolta porta a porta spinta, portando la percentuale di differenziata sopra il 70%, stando ai primi dati.
Ora o mai più: 8 luglio 2017 I comitati e le associazioni ambientaliste convocano una giornata di mobilitazione per sabato 8 luglio. Nuove strade si devono aprire, ma le vecchie strade vanno sbarrate: bisogna mettere un punto alla strategia che vede la provincia come discarica della Capitale, la Valle del Sacco come il distretto dei rifiuti. L’8 luglio 2017 non è la data in cui una città si ribella al grido di “non mettete i rifiuti nel mio giardino!”. La città ribadisce che ne ha avuti abbastanza.
Si ringrazia: Luca Palmieri The following two tabs change content below.
Marco InfussiFerentino a Antiche Fornaci Giorgi Tramite il gruppo civico Cambiare partecipo ad un progetto di rinnovamento della classe politica di Ferentino. Con questo sito internet cerco di informare e creare una discussione trasparente circa le scelte operate dall'amministrazione comunale.
Lavoro in architettura e restauro, progettando e realizzando ambienti, strutture, arredi ed oggetti tramite la mia azienda, Fornaci Giorgi, che produce pavimenti, rivestimenti ed elementi architettonici in cotto fatto a mano.
Mi interesso di arti visive, interfacce uomo macchina, applicazioni internet. Ho il pollice verde ed amo mia moglie Domitilla e nostra figlia Charlotte.
In passato ho collaborato con Wikipedia, Ubuntu, Live Performers Meeting, Il Cartello per la promozione e diffusione delle arti, Greenpeace, Festival Arrivano i Corti, Il Giardino delle Rose Blu, Il Gabbiano.
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